L’eredità del risorgimento

I repubblicani contrapposti ai socialisti non ai liberali

Nella contrapposizione che si vuole fra Mazzini e il liberalismo italiano, c’è un equivoco di fondo. Mazzini viene considerato come "un terzo" fra socialismo e liberalismo.

Egli è un fiero avversario del socialismo per ragioni ideali e politiche. Mazzini, preoccupato del conseguimento dell’unità nazionale, vede la lotta di classe marxiana con il fumo negli occhi ed elabora un modello sociale cooperativistico completamente opposto a quello dell’espropriazione della proprietà privata. Mazzini non crede nell’idea estrema dell’eguaglianza sostenuta dai socialisti, tanto da definire una società costruita secondo quei parametri - negli scritti sulla "Democrazia in Europa", come cosa degna di una società "di castori", non di uomini, e prossima a trasfigurare essa stessa in dittatura.

Concetti questi assimilabili alla visione liberale, tanto da suscitare l’attenzione e poi l’amicizia con Thomas Carlyle. La Gran Bretagna, dove la dottrina liberale trovò la propria espressione politica nel partito whig - che ottenne la riforma elettorale e la legittimazione delle nuove classi borghesi - gli fu nel complesso sempre amica. Il liberalismo inglese dell’Ottocento, influenzato da John Stuart Mill, si opponeva al conservatorismo e si pose compiti vasti, attribuendo allo Stato maggiori funzioni nell’economia e nella società, oltre che battersi per alcuni diritti politici, quali, ad esempio, l’ampliamento del suffragio elettorale.

Mazzini non avrebbe avuto un particolare problema a riconoscersi nel liberalismo britannico, anche se ne coglieva un elemento più mirato all’espansione commerciale dell’impero che alla libertà dei popoli europei. Un liberalismo, quello inglese, pur sempre al servizio di Sua Maestà.

Il problema diveniva più forte con il liberalismo italiano, che era all’epoca integralmente monarchico. E Mazzini aveva difficoltà a riconoscere ai Savoia un autentico desiderio di liberazione nazionale, perché condizionato dalle loro mire espansionistiche. La contrapposizione di Mazzini al liberalismo italiano è principalmente la contrapposizione al Regno d’Italia. Mazzini, anche quando intenderà garantire una unità d’azione con la monarchia, ritiene di mantenersi distinto, perché il progetto politico-istituzionale era diverso dal fine comune da conseguire nell’immediato. Prima l’Unità poi la Repubblica: quando Mazzini se ne convinse, si trovò contro molti altri repubblicani, magari gli stessi che parteciparono entusiasti alla Terza Guerra di Indipendenza. Che però il genovese non voleva.

In quel momento in Mazzini si consuma qualcosa: il suo spirito unitario è superiore ai partiti in quanto tali; i partiti per lui sono fazioni capaci di rallentare il processo storico che pure bisogna intraprendere. Ed ecco che la democrazia, la Repubblica, vengono dopo i principi di libertà garantiti dall’Unità nazionale. Il conflitto con Cattaneo - che vuole il federalismo - rispetto a Mazzini centralista, è la dimostrazione che il liberale in questo caso però è Cattaneo. Il condizionamento politico immediato detta le diversità di un fronte che pure ha un’ispirazione comune. La stessa proposta economica mazziniana non contrasta con quella liberale. Si tratta pur sempre di una difesa della proprietà privata e della libertà di iniziativa e Mazzini non ha una visione pauperistica della società, come ad esempio l’avevano i giacobini in Francia.

Semmai farà della sua miseria una virtù, non della comune miseria "la Virtù". La contrapposizione della dottrina mazziniana con il mondo liberale - che poi dottrina in senso stretto non è - viene dettata sostanzialmente dai tempi della politica e dalle finalità istituzionali che si perseguono. Siamo di fronte ad uno scontro fra grandi personalità, quella fra Mazzini e Cavour, quando lo scontro con Marx è assoluto e viscerale, e concerne valori del tutto diversi.

I principali storici mazziniani, Salvo Mastellone ad esempio, sostengono che lo stesso "Manifesto" fu scritto in risposta alle tesi del genovese. A tutti gli effetti la contrapposizione fra liberali e repubblicani italiani del secondo dopoguerra si risolse all’indomani dell’esperienza del centrosinistra, quando i partiti socialisti, distaccatisi dall’Unione Sovietica, si resero conto di recuperare una collaborazione politica con la tradizione liberale e quando in Italia, il Pri, a sua volta, si accorse di come la politica interventista dell’economia di centrosinistra avesse corroso la vita pubblica e fosse degenerata, spesso e volentieri, nella mala gestione se non addirittura nel malaffare. Quando nel 1989 si cercò, sul piano elettorale, di ricostruire una prospettiva unitaria ("il polo laico") si cercava anche di riallacciare una storia comune intessuta fin dal Risorgimento che, nonostante le tante differenze, aveva conseguito la forma della Repubblica. Ci volle qualche decennio per capirlo ma, da quel momento, repubblicani e liberali non erano più obbligatoriamente divisi. Piuttosto erano divenuti una minoranza estrema.