Anni lontani e pure vicini

Quando il Pri scelse l’adesione all’Eldr

Il 1976 è stato un anno di particolare importanza della storia del Partito repubblicano. Nel pieno di una crisi politica ed economica che attanagliava il paese, sfiduciato nella capacità di risposta delle forze politiche, costretto a quella che Ugo La Malfa definiva "l’ineluttabilità" del compromesso storico, dopo un risultato elettorale inferiore al 3 per cento dei voti, il Pri compiva una scelta delicata e significativa, quale l’adesione all’Eldr.

Che non fosse una cosa da niente, lo si capisce grazie alla particolare prudenza con cui l’adesione stessa si svolse: una delegazione repubblicana guidata da Francesco Compagna, quale osservatore del processo costitutivo dell’Eldr il 26 e 27 marzo di quell’anno, e poi la confluenza deliberata dal Consiglio nazionale dell’ottobre successivo, in un momento nel quale il quadro politico interno e internazionale era ancora più complesso e difficile. La dirigenza repubblicana aveva appena assistito ad un evento particolarmente doloroso, quale la decisione di Altiero Spinelli di aderire come indipendente alle liste elettorali comuniste. Il timore era che l’area democratica, riformatrice e liberale del nostro paese si riducesse ulteriormente, visto che nemmeno gli uomini di maggior tempra e carisma apparivano in grado di opporsi a tale piega. Lo stesso rapporto politico con i socialisti, imbastito fin dai primi anni ‘60, pareva già prossimo a sfilacciarsi. Il Pri guardava allora con simpatia al rigore del premier laburista britannico Callaghan, ma non trovava nessun elemento di somiglianza fra quel laburismo inglese e il Psi di De Martino. Eppure Callaghan affrontava una crisi in Inghilterra non certo inferiore a quella italiana, e aveva saputo compiere una mossa a sorpresa per rafforzare un governo di minoranza: l’alleanza con il partito liberale britannico. Situazione simile si era verifica anche in Germania con un governo Spd - Fld presieduto da Schmidt. Mentre i socialisti italiani annaspavano fra mille contraddizioni, e altrettanto faceva il Partito liberale italiano, convinto ancora di dover svolgere un ruolo di avversario del centrosinistra, i liberali inglesi e tedeschi - agevolati anche dal fatto che il socialismo tedesco e britannico era cosa ben diversa da quello marxista italiano - avevano battuto un colpo importante e assicurato la governabilità democratica dei loro paesi e lanciato una speranza di progresso reale. Anche il Partito repubblicano ebbe i suoi problemi di fronte all’Eldr, ma la dirigenza del Pri seppe superarli, tanto che anche la sinistra interna al partito appoggiò la mozione unitaria del Consiglio di ottobre. Il Pri divenne parte a tutti gli effetti dell’Eldr. La mozione del Consiglio nazionale del 1976 contiene alcuni passaggi interessanti per capire meglio l’identità del nostro partito.

Annunciando la scelta di aderire ad una formazione europea che meglio avrebbe potuto consentire di svolgere un’azione modernizzatrice all’interno delle istituzioni comunitarie, si sottolineava come il Pri non fosse un partito "radicale" e tanto meno un partito "moderato". Da lì a pochi giorni, davanti all’ulteriore aggravamento della crisi politica, Ugo La Malfa avrebbe detto, riferendosi ai suoi tradizionali partner nazionali, che per i repubblicani era meglio essere "soli" piuttosto che piegati ad un compromesso incapace di misurarsi con la realtà drammatica delle questioni irrisolte italiane.

La Malfa pensava ad una nuova stagione politica caratterizzata dall’incontro fra la Democrazia cristiana e il Pci, che avrebbe inevitabilmente mutato l’asse d’azione e le alleanze dei repubblicani: la scelta di collocarsi accanto alle democrazie liberali significava un nuovo percorso da intraprendere. Di lì a pochi mesi il sequestro Moro, poi l’omicidio del presidente Dc, la stessa morte di La Malfa cambiarono i connotati di fondo del paese. Si aperse un altro percorso completamente imprevisto, che pure non ha dato i risultati di miglioramento aspettati. Per questo abbiamo pensato che non fosse un caso che, a distanza di tanti anni da allora, si ripresentasse da più parti un’idea di "solidarietà nazionale", di "allargamento della maggioranza", in un sistema politico che pure è cambiato verticalmente.

E pure questi termini, in voga oggi, ricordano quel periodo e ripongono gli stessi interrogativi di allora. Cosa deve fare un partito come il nostro, ancora più debole rispetto a quegli anni, e che pure intende sopravvivere consapevole di quel patrimonio e di quella identità? Già dal 2007, con la conferenza di Milano, ci siamo chiesti se non fosse necessario riannodare il filo strappato della nostra storia e ricercare a fondo le ragioni di una scelta liberaldemocratica da proporre al nostro prossimo Congresso, anche con maggiore forza rispetto a quella compiuta allora e ribadita successivamente in diverse occasioni. Ed è questa la strada che abbiamo intrapreso e vogliamo portare a compimento.

Roma, 3 gennaio 2011