Liberaldemocrazia, un dovere Un’area che comprende il sindaco Chiamparino e il ministro Tremonti Al di là degli schieramenti e delle definizioni delle singole forze politiche, date o attribuitesi, bisogna porsi la domanda se ci sia un’area nella società italiana che, per quanto sommersa, possa maturare un’esigenza e una prospettiva liberaldemocratica. O se almeno ci siano delle singole personalità su cui costruire un’area politica vera e propria. Perché dovrebbe essere chiaro, dall’istruttoria che abbiamo condotto finora sul significato di liberaldemocrazia, che non basta alzare un vessillo perché le folle vi corrano intorno. Senza contare poi che nella storia c’è stata un’esperienza liberale molto significativa, posta agli albori dell’età contemporanea, che pure produsse il dispotismo: quella della fazione giacobina di Robespierre e Saint Just. Esperienza, quella rivoluzionaria, che ha segnato la vita politica fino almeno alla metà del ‘900. Klaus Mann, il figlio di Thomas, nel suo "Mephisto", scriveva: "La libertà. E che cosa ce ne facciamo?". Ecco, il problema per l’Europa occidentale, apertosi all’indomani del secondo dopoguerra, è stato proprio quale utilizzo fare della libertà guadagnata dalla sconfitta del totalitarismo nazista e fascista. Problema con cui si è dovuta cimentare anche l’Europa dell’Est all’indomani della caduta del muro di Berlino. Situazione anche peggiore, visto che il comunismo aveva distrutto il tessuto economico delle società in cui era sano, come l’Ungheria, la Cecoslovacchia e, ovviamente, la Germania dell’Est. Non che l’Italia, dal 1989 in avanti, non abbia avuto i suoi problemi. Quando il sindaco di Torino, il democratico Chiamparino, dice che in qualunque altro paese a un uomo come Marchionne si sarebbe steso il tappeto rosso per l’investimento promesso su Mirafiori (mentre da noi lo si è accusato di attentare alla Costituzione), mette in risalto che qualcosa non funziona. A proposito di cosa non funzioni, il ministro Tremonti ha idee molto chiare. Le ha esposte in un articolo della settimana scorsa sul "Corriere della Sera": "La cappa delle regole che pesa sull’economia, una cappa che è cresciuta a dismisura negli ultimi tre decenni ed è aggrovigliata dalla moltiplicazione delle competenze – centrali, regionali, provinciali, comunali - è ormai divenuta tanto soffocante da creare un nuovo Medioevo". Per Tremonti, nella "follia regolatoria" c’è un aspetto che concerne persino l’antropologia culturale: "una visione dell’uomo che è o negativa o riduttiva. La visione negativa è quella della gabbia (l’homo homini lupus). Il lupo va ingabbiato: è Hobbes". Ma prendete anche solo Rousseau un secolo dopo. Il ginevrino considerava l’uomo "buono in natura" e, ciononostante, lo voleva ingabbiato lo stesso. Ecco "il contratto sociale", "la volontà generale", il mito della piazza che tanto piace ancora a parte del nostro paese. "Andiamo in piazza" lo dice perfino Berlusconi. Quasi fosse questa la risposta ai problemi. A volte, invece, i problemi sono iniziati proprio in questo modo. Ora, a parte alcuni casi di mitomania, gli uomini sono consapevoli della loro miseria individuale: ma questa non è una ragione per disprezzarla, basta sapersi organizzare. La politica stessa, nell’antica democrazia ateniese, era una risposta alla piccolezza della propria singola identità individuale. Al contrario, le masse, nel loro libero sfogo, possono produrre dei disastri. Non è vero ad esempio che le masse "hanno sempre ragione", come amava dire Togliatti. Si è visto che, nella storia, grandi fenomeni di massa si sono rivelati incapaci di ogni ragione. Il liberale, allora, innanzitutto è colui che non si fa fagocitare dell’istanza pressante delle masse. Vi resiste, sa essere minoranza per restare fedele ai suoi principi, alle sue convinzioni, al suo modo di essere. L’individuo è infatti insufficiente a se stesso, vero, ma detiene la capacità di produrre ricchezza sociale ed economica, e soprattutto è capace di concorrere al bene comune. Tremonti, ad esempio, sostiene che "si può (si deve) considerare il cittadino, prima che come un controllato dallo Stato, come una risorsa della collettività". In questo caso "il bene comune" non è più "monopolio esclusivo del potere pubblico", quanto "un’auspicata prospettiva della responsabilità nell’agire privato". Un’idea liberale per eccellenza, la stessa in fondo che solleva a suo modo Chiamparino che difende la proposta di Marchionne delle accuse della sua stessa parte politica. Chiamparino e Tremonti, non c’è dubbio, almeno nelle loro enunciazioni sono due liberali. Solo che, come si sa, non solo militano in partiti diversi, ma persino contrapposti. Partiti che di liberale, a volte, esprimono molto poco. Se si vuole costruire un partito liberaldemocratico, bisognerebbe avere al suo interno per lo meno chi la pensa come Chiamparino e Tremonti. E’ cosa possibile? E’ qualcosa per cui si può lavorare, almeno in prospettiva, nell’Italia di oggi? Vista la situazione del paese, che non pare proprio ottimale, forse è il caso di provarci: un partito membro dell’Eldr, come quello repubblicano, ha un dovere a riguardo. |