Il polo laico dell'89 Troppe divisioni all’interno dell’area liberaldemocratica Costruire l’alleanza liberaldemocratica per le europee dell'89 non fu cosa facile. I radicali, ad esempio, membri a tutti gli effetti dell’Eldr, come Pri e Pli, erano all’opposizione. All’indomani del voto, quella differenza politica comportò delle incrinature, tanto che il cosiddetto "polo laico", incapace di raccogliere insieme i voti su cui contava ogni singola forza, si sfasciò in fretta. E i rapporti fra Pli, Pri e radicali uscirono ulteriormente indeboliti da quella esperienza. La situazione del mondo liberale italiano, oggi rispetto ad allora, è ancora più confusa, frammentata e disgregata. All’Eldr, ad esempio, ha aderito un partito come l’Italia dei Valori, che è all’opposizione come il partito radicale, ma con caratteristiche politiche che di liberale hanno poco o niente. Il partito dell’Italia dei Valori è un partito di minoranza, intorno al sei per cento, che ciononostante batte una strada populista. E’ arrivato persino a solidarizzare con lo sciopero dei conduttori di volo Alitalia, in un momento delicatissimo per la compagnia, incurante del disservizio causato ai cittadini oltre che della necessità di ristrutturazione dell’azienda. E’ vero che l’Idv si batte per l’indipendenza della magistratura - salvaguarda, quindi l’indipendenza dei poteri di Montesquieu, anche se, per la Costituzione italiana, la magistratura non è un potere, ma un ordinamento – però l’impressione è che l’Idv subordini ai dettati della magistratura la stessa attività politica. Nel suo inseguimento della virtù pubblica, il partito di Di Pietro sarà pure liberale, ma esattamente come lo erano al club dei Cordiglieri di Jean Paul Marat, fervidi sostenitori di un "dispotismo della libertà" in cui l’idea liberale sarebbe stata soffocata. Se poi il liberalismo europeo del ‘900 ha comunque necessariamente posto in cima all’agenda della sua azione politica la questione economica, l’Italia dei Valori non sembra mostrare particolare interesse a riguardo. Non è lì che si trova il cemento del partito. Il suo populismo è anche economico e quasi sempre di retroguardia, a favore dei diritti acquisiti, a tutela degli occupati più che dei disoccupati, perfino dei "baroni", se si tratta di università, tutto pur di non dispiacere ai possibili movimenti di massa, dove può andare a pescare nuovi consensi. C’è da chiedersi se mai una forza liberaldemocratica possa prendere anche solo in considerazione un movimento come quello dell’Italia dei Valori come partner, indipendentemente dal fatto che sieda nell’Eldr o altrove. Questo è ammissibile solo nel caso in cui si ritenga Berlusconi il principale oppressore della vita nazionale da cui, appunto, liberarsi. Il sociologo Luca Ricolfi individuò alcuni mesi fa, con un complesso articolo su la "Stampa", la Lega Nord quale un soggetto "liberale" per eccellenza, a motivo della proposta federalista. Il federalismo, dai tempi della rivoluzione francese, in effetti è istanza liberale, e noi ne sappiamo qualcosa attraverso la lezione di Carlo Cattaneo. Solo che anche Ricolfi si sarà accorto di come, insieme alla proposta federalista, la Lega difenda lo status quo amministrativo, addirittura secondo i parametri della burocrazia conservatrice più tradizionale. Una contraddizione che mette a rischio la stessa istanza federalista. Come si può presentare un disegno di organizzazione dello stato di impianto federale e, insieme, non solo mantenere l’amministrazione provinciale e regionale, ma pure ipotizzare il semipresidenzialismo, duplicando così perfino la leadership del paese? Eppure il semipresidenzialismo è stato sostenuto proprio da Umberto Bossi, insieme alla difesa delle province. La Lega ha per lo meno due volti: è liberale nel richiedere più indipendenza dallo Stato centrale; è illiberale quando vuole consolidare il suo potere municipale. Difficilissimo tessere con il movimento di Bossi una trama politica comune: del resto ce ne siamo accorti quando, con i nostri buoni auspici, la Lega entrò nell’Eldr e ci portò l’onorevole Borghezio. Restano poi, come sempre, i radicali, che hanno però la pretesa di rappresentare a loro modo il liberalismo: ma essi soltanto, in una sorta di compiaciuta esclusività. Per tutte queste ragioni la questione della costituzione di un soggetto liberaldemocratico in Italia deve dunque confrontarsi non solo con il problema delle alleanze al suo esterno, ma anche con quello di un’identità comune. E, quando si è così divisi, è difficile rivolgersi ad uno strato della società omogeneo e chiederne il sostegno. |