La rivoluzione liberale dell’89

Caduto il muro di Berlino le questioni si sono complicate

Nel Vecchio Continente, fin dalla fine della Prima guerra mondiale, i partiti liberali sono stati incapaci di attrarre le grandi masse e sono rimasti minoritari, o addirittura residuali. La situazione non è migliorata all’indomani del secondo conflitto e, cosa forse più sorprendente, non è cambiata nemmeno dopo il 1989, anno che lo studioso anglo-tedesco Ralf Dahrendorf, salutava come la data della grande rivoluzione liberale del ventesimo secolo. A meno che non si voglia considerare un effetto della rivoluzione liberale proprio il declino della forma partito in quanto tale, consumatasi accanto al tramonto del vecchio Pcus.

Un aspetto, questo, significativo - e preoccupante - perché darebbe ragione a chi pensa che il principale strumento della democrazia, il partito, sia un ostacolo ad una pura espressione liberale. Negli Stati Uniti d’America, paese in cui democrazia e libertà si sono coniugate con successo, i partiti sono sempre stati deboli. Sono i candidati, gli individui "forti" a sceglierli, a plasmarli e, grazie ai tratti della loro personalità, anche a rinnovarli. L’Europa, fra vecchie strutture di partito e nuovi leader, dopo l’89 è apparsa per lo meno titubante riguardo la strada da scegliere. Il partito liberaldemocratico europeo, Eldr, è sicuramente un punto di riferimento per il compimento dell’integrazione europea e la messa in atto delle regole e delle istituzioni comunitarie. L’apertura ad Oriente della vecchia Europa, quella post-muro di Berlino, ha complicato però – e non di poco - tale missione, perché i paesi dell’Est mostrano ancora ritardi culturali e economici - oltre che istituzionali - molto pesanti. Questo non significa per forza che il modello liberaldemocratico non possa acquisire una maggiore forza propulsiva: certo è che i tempi per acquisire tale spinta appaiono lunghi.

I due soli partiti liberali occidentali, nel pieno delle loro funzioni e della loro capacità di ottenere consensi e riconoscimento, vivono, non certo per caso, nei due paesi più sviluppati del continente: Germania e Inghilterra. La Francia, con la sua tradizione gollista, ha compiuto un percorso diverso, più distinto e particolare.

Il problema evidente, che riguarda oggi questi partiti liberali, alleati dei conservatori, si deve ad un riposizionamento delle loro politiche se non dei loro principi. Prospetticamente, non si può escludere che, così come si sono emancipati dalle alleanze con le forze socialiste intraprese negli anni ‘70 del secolo scorso, i partiti liberali inglese e tedesco non debbano - altrettanto necessariamente - emanciparsi anche da quella con le forze conservatrici e popolari di oggi. Sia i liberali tedeschi di Westerwelle sia quelli britannici di Clegg, stanno già pagando un prezzo molto alto per la loro scelta di governo. Ragione per la quale un nascente soggetto liberaldemocratico in Italia dovrebbe valutare con molta attenzione i passi da compiere, se non vuole compromettere i risultati che si prefigge.

Ovviamente nulla vieta di anticipare i principali partiti liberali europei e smarcarsi subito da ogni collaborazione con le forze popolari e conservatrici. Bisogna però sapere che, coltivando una posizione elettorale autonoma, un partito liberaldemocatico non può oggi concorrere alla maggioranza relativa del paese. Quando i liberali tedeschi e inglesi lasceranno il fronte conservatore, allora o saranno così forti da correre da soli, oppure torneranno a collaborare con la sinistra. In Italia un partito liberale, un’area liberaldemocatica che si vuole costituire emancipandosi dall’attuale alleanza popolare moderata – è difficile considerare Berlusconi un conservatore o un riformista tout court – difficilmente resisterebbe alle sirene delle sinistre, se non altro perché il centro "puro e semplice", che si è cercato di costruire fin dal 1994, non trova basi sufficienti di rappresentanza nella legge elettorale. Il "centro" in quanto tale, da quella data si è sempre spaccato a metà: o a sinistra o a destra. Senza contare i cambiamenti di collocazione.

L’Udc di Casini è riuscita a reggere in questa legislatura ma, se vorrà governare nella prossima, dovrà decidersi, altrimenti rischia di restare congelata all’opposizione. Una forza liberaldemocratica ha ovviamente il diritto di fare le scelte che ritiene più opportune ma, per prima cosa, deve cercare di capire quali siano le possibilità di correlazione con le altre forze liberali presenti sul territorio nazionale: se ve ne sono o se ve ne possano essere. E, soprattutto, chi, fra gli strati della società italiana, può sentirsi rappresentato da un’istanza liberaldemocratica.