Illusioni perdute

La sfida del Liberal britannico al governo laburista

Nel 2001, la decisione presa dal Congresso del Pri a Bari, di sostenere il Polo delle libertà guidato da Silvio Berlusconi, dispiacque al capogruppo dell’Eldr a Bruxelles, il liberale britannico Graham Watson. Con Watson, persona squisita e colta, avemmo modo di discutere a fondo durante una colazione a Roma, ancora sei anni fa. Egli ci presentò le sue rimostranze chiedendo come fosse possibile che un partito come il nostro sostenesse un magnate dall’atteggiamento padronale quale Berlusconi. Gli capovolgemmo l’argomento: se i liberali britannici non avevano sostenuto - e non sostenevano - il New Labour di Blair neppure nel momento di massimo sforzo liberale da parte di quel partito, era ovvio che, da lì a poco, sarebbero finiti nell’orbita conservatrice. Watson negò decisamente, convinto com’era che i liberali, invece, proprio per la loro opposizione a Blair, sarebbero divenuti il primo partito inglese. La cosa ci stupì, perché un successo liberal alle elezioni britanniche sarebbe stata una svolta epocale; e pure l’ipotesi ci fece piacere, nel senso che, se davvero si fosse realizzata, probabilmente avrebbe cambiato il corso della politica europea. Gli effetti li avremmo visti anche in Italia. A elezioni inglesi consumate, possiamo dire che il vaticinio di Watson aveva dei fondamenti: i liberali hanno avuto un successo straordinario. Eppure non tale da capovolgere gli equilibri politici del paese. E, dopo una riflessione sofferta, il loro leader, Nick Clegg, si è alleato al partito conservatore che aveva vinto le elezioni. Per cui la nostra previsione, non quella dell’amico Watson, si era avverata. Difficile pensare ora che i liberali possano particolarmente giovarsi di questa esperienza piuttosto che pagare un prezzo elevatissimo. Ad esempio, una buona parte del successo di Clegg è dovuta alla sua promessa di tagliare le tasse universitarie, che invece sono triplicate. Clegg, come vice premier, ha ammesso che, sulla base del bilancio dello Stato, questo era inevitabile, ma ora sono i liberali a pagare lo scotto con il loro elettorato più giovanile, che ha inscenato una protesta degna dei conflitti sociali ai tempi della Thatcher.

E neppure questo ha spostato la politica dei liberali, che restano saldi con i conservatori di Cameron al governo. Poco meglio stanno i liberali in Germania, alleati in funzione gregaria della Cdu. Possibile mai che se i principali partiti liberali europei governano con i conservatori, i liberali italiani possano guardare a sinistra? Certo, potrebbero stare da soli, ma difficilmente una posizione terza avrebbe successo in Italia, quando neppure l’ha avuto in Inghilterra, paese notoriamente più propenso ad anticipare i tempi della politica continentale rispetto al nostro.

"Dov’è finita la rivoluzione liberale di cui il paese ha bisogno?", si chiedeva Galli della Loggia il giugno scorso, in un momento in cui il carniere del governo italiano appariva piuttosto vuoto. La domanda varrebbe per tutta l’Europa. La grande rivoluzione liberale, promessa dal 1989, arranca nel suo complesso. La stessa Russia, che pure si è liberata dal comunismo, ha assunto, dopo un periodo di incertezza, un profilo politico istituzionale più rigido ed autoritario. La Cina, è vero, si è aperta al mercato ed al capitalismo e sta facendo balzi da gigante, ma il paese non è certo molto più liberale di quanto pure lo fosse ai tempi di Mao. In America, il nuovo presidente è perfino accusato di "socialismo" e le sue iniziative economiche sono alla base di un nuovo successo repubblicano che, a solo due anni dalla sconfitta del partito di Bush, appariva impossibile. Sono i liberali che hanno sostenuto Obama nel 2008 ad essersi spostati. In queste condizioni è comprensibile che i partiti liberali europei si trovino sotto traccia.

Ma l’alleanza con le forze tradizionalmente conservatrici lancia un segnale forte ed inverso a quello degli anni ‘70. La crisi del socialismo è stata pesantissima e "la terza via" non pare propriamente praticabile. In fondo è fallita già ai tempi di Clinton. Anche il cosiddetto "terzo polo" costituito in Italia intorno all’Udc di Casini, ricorda, fra integralisti cattolici e vecchi statalisti che chiedono il sostegno per le famiglie, più un partito conservatore pronto a sostituirsi a quello oggi guidato da Berlusconi. E’ vero che il partito conservatore può dimostrarsi più progressista di chi si pretende riformista. E pure un partito liberale dovrebbe essere distinto ed avverso, mentre invece si allea con la destra. La domanda a cui dobbiamo rispondere, allora, è se siamo in grado di fare uno sforzo autonomo e solitario, o se invece dobbiamo, come gli altri liberali europei, saldare l’alleanza con i partiti conservatori e popolari.