Francesco Nucara alla Direzione Nazionale del Pri/Una politica italiana che sta andando allo sbando

Il progetto liberaldemocratico per la ripresa

Francesco Nucara, relazione alla Direzione Nazionale del 9 aprile 2013

di Francesco Nucara

La Direzione odierna si svolge su temi di concretezza della vita del Partito più che su temi di ipotesi e prospettive politiche.

Tuttavia, come è ovvio, la discussione su temi politici è aperta e io stesso farò le mie considerazioni.

Ognuno tenga in mente però che il sottoscritto è un segretario in uscita e sembrerebbe improprio, tranne motivi di urgenza che si dovessero estrinsecare in una prossima campagna elettorale, che incanalassi il Partito verso una linea politica che dovrà decidere il prossimo Congresso e che dovrà essere attuata dal prossimo segretario.

Indipendentemente da questo, però, apriremo un dibattito che mi auguro non sia dispersivo e che, accanto a una discussione di linea politica, si discuta e si decida sugli altri punti all’Ordine del Giorno.

Tenterò di raggruppare i problemi in una relazione unica, invitando gli amici, se possono, a fare altrettanto.

La politica italiana è allo sbando e la classe dirigente di questo Paese, se ci riferiamo alla politica, lo è ancora di più.

Ci stiamo giocando il futuro tra chi pretenderebbe di portare a termine l’accordo con il Partito Cinque Stel-le, malgrado sia irriso da quest’ultimo, e chi pretende di scegliersi il Presidente della Repubblica, barattandolo con un appoggio diretto o indiretto ad un eventuale Governo presieduto dall’attuale leader del PD. Dico attuale perché non sappiamo se tra qualche giorno o settimana all’interno del PD le cose staranno allo stesso modo di oggi. Bersani, che pure si è fatto stimare sia come amministratore locale che come ministro, ha dimostrato di non avere capacità di mediazione all’interno del suo partito e nel rapporto con le altre forze politiche. Come ha detto Dario Franceschini: "qualcuno nel PD si vorrebbe scegliere l’avversario", ma l’avversario lo hanno scelto gli elettori italiani. E non era possibile trasferire in Italia, e soprattutto nel PD, il modello emiliano.

L’Italia è lunga e il partito degli Appennini centrali non è mutuabile nel resto del Paese. L’aver scelto come stretti e unici consiglieri non dei post-comunisti ma dei proto-comunisti (Migliavacca, Errani) – (leggere Giampaolo Pansa su "Libero" del 7 aprile u.s), non ha giovato alla ricerca di una soluzione utile al Paese prima che a un partito.

Né maggiore avvedutezza si intravvede nel centro-destra, dove regna un clima di assoluto marasma politico.

Forse non siamo abituati alle discussioni e non abbiamo mai avuto il morbo del leaderismo come scelta politica. I leader repubblicani dirigevano i loro iscritti, non li comandavano, e le minoranze non venivano estromesse ma alimentate.

Tuttavia, bisogna riconoscere che nel Paese c’è una massa di elettori di centro-destra pari a quella di centro-sinistra.

Né l’una né l’altra possono essere demonizzate. Il bipolarismo è morto e sepolto. Bisogna rilevare, però, che il Terzo Polo non è quello indicato qualche anno fa, al quale anche alcuni Repubblicani guardavano con interesse. Quel Terzo Polo auspicato da Casini si è disintegrato, come lo stesso Casini ammette sul "Corriere della Sera" di domenica. E sempre Casini ammette l’errore di aver voluto e sponsorizzato la guida di Monti per quel Terzo Polo che alla fine è stato appannaggio di Grillo.

Non ci sono alternative ad una maggioranza che pure in termini diversi replichi l’alleanza che ha sostenuto il governo Monti.

Quest’ultimo, a parte gli errori politici, non ha brillato nemmeno per stile nei comportamenti e la sua tanto declamata sobrietà è finita in soffitta, facendo posto a smodate ambizioni personali.

Quindi, o questa maggioranza o il voto, che potrebbe essere espresso anche a giugno.

Ricordo che, nel 1983, si votò il 26 giugno. I tempi tecnici ci sono, eccome!

L’Italia soffre di un deficit di democrazia e di scompaginamento della propria storia, di quella storia che ha fatto la Repubblica e ha rilanciato il nostro Paese tra le più moderne società industriali del mondo.

Quell’Italia riconosceva esperienze e passioni politiche, invitando anche le piccole forze di minoranza a partecipare alla costruzione di un progetto che ha salvato dalla miseria milioni di italiani.

Basterebbe rileggersi il resoconto della visita di Ugo La Malfa in Calabria nel crotonese. Ai tanti, mi riferisco a Bersani, che pensano di non poter fare alleanze con il PDL perché si creerebbero molti problemi nel suo partito, non mi resta che ricordare ancora una volta quello che Ugo La Malfa disse ad Eugenio Scalfari, in un lontano Capodanno.

Egli affermò tra l’altro che non gli interessava più di tanto la sorte del PRI, ma quella del suo Paese.

Non pretendiamo che Bersani la pensi come Ugo La Malfa, ma che almeno rifletta su questo pensiero.

E’ bene sottolineare, ma questo è il pensiero di Francesco Nucara semplice iscritto al PRI, che la fine della democrazia è cominciata quando si è pensato che per eleggere segretari di partito o candidati a premier si dovesse ricorrere alle primarie. Da questa idea balzana siamo arrivati alla scelta del Presidente della Repubblica tramite il web e alla scelta di parlamentari che hanno ottenuto 50 (dicasi cinquanta) adesioni sul web.

Le strutture di partito si esauriscono e, con esse, la selezione della classe dirigente e alle primarie si ricorre solo quando manca la democrazia interna ai partiti.

Anche nel nostro partito ci sono autorevoli dirigenti che nel passato sponsorizzavano le primarie per la scelta dei candidati, ma imitare le primarie americane e trasferirle in Italia, dove c’è un diverso assetto istituzionale come una altrettanto diversa tradizione, sarebbe un errore che potremmo pagare caro. Se siamo, come io penso sia giusto, contro l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, prodromo al populismo, con altrettanta forza dobbiamo essere contro le primarie che così come si svolgono sono spesso e volentieri falsate. L’esperienza delle primarie PD docet.

Il popolo non ha più rappresentanza, ma solo rappresentazione. E un partito come il nostro, di lunga tradizione europeista, ha tutt’altri progetti per scegliere la classe dirigente.

In questi anni il Partito ha tracciato un orizzonte politico: quello della liberaldemocrazia. Un progetto che si rifà alla nostra storia, che è pregno di attualità e prospetticamente indica il futuro di quel repubblicanesimo che almeno come fatto culturale sarebbe patrimonio di una platea più allargata dei semplici iscritti al PRI.

Eravamo tutti d’accordo prima e durante la celebrazione dell’ultimo Congresso, ma soprattutto prima, e di ciò sono evidente prova le due mozioni congressuali.

Dopo, però, il progetto liberaldemocratico è stato interpretato miseramente, come foglia di fico per coprire non si sa bene quali orribili misfatti.

Il tempo, mi auguro, abbia fatto strame di questi pensieri beceri e abbia riportato alla realtà la situazione così come prospettata negli anni passati.

Sapevamo benissimo che c’era bisogno di tempi lunghi e le divisioni assurde nel PRI non hanno certo giovato ad accelerare i tempi per realizzare il progetto liberaldemocratico, come assurde sono apparse manifestazioni parallele ed antitetiche al disegno repubblicano.

Non guasterebbe un po’ di autocritica ai cultori del Terzo Polo e a quella parte del partito che ha manifestato con l’UDC e con il FLI.

Si prenda almeno atto del fallimento di quel disegno e si prenda atto che è stato un errore non stringersi intorno al PRI.

Il progetto liberaldemocratico non riguarda il Terzo Polo, né il quarto, né il quinto, ove mai esistessero. Esso riguarda un’idea della società diversa da altre, quand’anche comprensiva, in alcune parti, di progetti di altre forze politiche.

Noi a ben ragione ci possiamo sentire diversi da altri e lo siamo.

Il progetto liberaldemocratico, dunque, come idea portante di un diverso assetto della società, dal punto di vista politico, sociale, economico e istituzionale.

Un progetto liberaldemocratico che tende a sanare disuguaglianze sociali e territoriali, che tende ad annullare egoismi.

E, mi sia consentito, anche nel nostro Partito un po’ di generosità non guasterebbe.

Ecco il disegno che a mio avviso dovrà perseguire il prossimo segretario e senza nominalismi. Chiunque creda in questo disegno avrà il mio assenso.

A tanti guai si aggiunge la retorica del giovanilismo, che è esattamente il contrario dell’attenzione che bisogna dare al mondo giovanile.

Nella mia esperienza di segretario repubblicano credo di aver fatto il massimo e forse di più per far crescere una classe dirigente più giovane ma non infantile.

Il primo Congresso con pochissimi giovani a Chianciano nel gennaio 2000, e poi i corsi di formazione, non di indottrinamento, per giovani iscritti ma anche non iscritti. A ciò furono da me personalmente chiamati relatori idonei, di varia estrazione culturale e professionale.

Talvolta sono stati riportati sul giornale del partito i resoconti giornalieri di tale esperienza; purtroppo con scarsa continuità.

Abbiamo portato ai vertici del PRI dei giovani e li abbiamo portati con noi in giro per l’Italia perché conoscessero il PRI nelle sue tante pieghe. Far crescere i giovani però non significa chiedere un certificato anagrafico, significa accompagnarli nella crescita esattamente come si fa in famiglia con i propri figli. Su un recente documento di Rai Storia, viene chiesto a Giovanni Spadolini cosa ne pensasse dei giovani ed egli risponde: ‘se parliamo solo di giovani, mi ricordo tanto "Giovinezza, Giovinezza"‘.

Ammesso che sia comandamento per ogni segretario di partito creare il successore a se stesso, e ciò io non credo, potrete dirmi inadempiente a tale funzione.

Ciò che io credo invece è che un bravo segretario deve operare soprattutto esprimendo, senza alcuna forma di interesse che non sia solo e soltanto quello per il suo partito, con coerenza, presenza fisica e morale e continuità il proprio impegno, con tutta la serietà di cui è capace.

Auguro a chi verrà dopo di me di fare quello che io non ho saputo o potuto.

Certamente non cerco il Partito che non c’è. Io l’ho trovato cinquant’anni orsono e non intendo trovarne altri, che ci siano o meno.