I funerali di Oddo Biasini Il repubblicanesimo storico perde il suo ultimo erede Venerdì a Cesena si sono tenuti i funerali di Oddo Biasini. In un grande concorso di popolo, hanno partecipato anche Giorgio La Malfa, il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini, gli amici Gerolamo Pellicanò e Guglielmo Castagnetti. Pubblichiamo il discorso tenuto da Giorgio La Malfa per la commemorazione. di Giorgio La Malfa Cittadini di Cesena, amici repubblicani, cara Giannina, sapevamo, ovviamente, che la fine di Oddo Biasini si avvicinava inesorabilmente. Egli aveva compiuto ormai 92 anni essendo nato a Cesena il 13 maggio del 1917; inoltre gli era stato diagnosticato un male che non lasciava speranze. Ma quando, venendo in Romagna, ci si recava da lui in visita, lo si trovava, come sempre, attento ed informato sulle vicende politiche, interessato alle prospettive del Partito, sollecito nell’auspicare l’unità del gruppo dirigente. Per questo la perdita di questo nostro amico prezioso è ancora più dolorosa. Oddo aveva partecipato alla Resistenza come vicecomandante del gruppo Mazzini. Dopo la Liberazione era stato eletto Consigliere comunale della sua Cesena e poi Assessore, negli anni ‘50, con il grande sindaco repubblicano di quella città, Tonino Manuzzi. Eletto al Parlamento nel 1968 fu deputato per 5 legislature, fra il 1968 e il 1987. Più volte sottosegretario alla Pubblica Istruzione, fu Ministro per i Beni Culturali fra l’80 e l’81 e infine vicepresidente della Camera fra il 1983 e il 1987. Fu, soprattutto, segretario del PRI fra il 1975 e il 1979 in anni fra i più drammatici e difficili della Repubblica. In quell’incarico mise in mostra grandi doti di equilibrio e di saggezza politica. Con Oddo Biasini scompare l’ultima grande figura del repubblicanesimo storico, dopo Oronzo Reale e Randolfo Pacciardi, quello che aveva le sue radici in Romagna, nelle Marche, in certe zone della Toscana, a Roma e nella zona dei Castelli romani. Biasini aveva le caratteristiche tipiche dei repubblicani di tradizione romagnola, quella tradizione da cui provennero alcuni grandi esponenti repubblicani fra la fine dell’800 e il secondo dopoguerra. Come Giuseppe Gaudenzi, che fu fra i fondatori del PRI nel 1895, Ubaldo Comandini, Cino Macrelli, e da cui derivò in particolare una grande tradizione amministrativa esemplificata dalla figura di Tonino Manuzzi: una fortissima passione politica, un assoluto disinteresse personale, il senso del dovere verso le istituzioni, un amore di stampo risorgimentale per l’Italia, un legame indissolubile con il Partito repubblicano. Per gli uomini che vengono da questa tradizione, la politica è prima di tutto, come aveva insegnato Mazzini, apostolato popolare, un apostolato che Biasini ha esercitato nel corso intero della sua vita. La Fondazione Ugo La Malfa, che custodisce i Diari di Oddo Biasini, ha pubblicato nel volume degli Annali uscito nelle scorse settimane le pagine del diario che si riferiscono al periodo che va dal 20 febbraio alla fine del mese di marzo del 1979. In quel periodo si svolse il tentativo di formazione del governo affidato dal Presidente della Repubblica, Pertini, a mio padre, seguito dalla formazione del nuovo gabinetto Andreotti, dall’arresto del Direttore generale della Banca d’Italia, Sarcinelli e dall’incriminazione di un galantuomo come il Governatore Baffi e infine dal malore di mio padre, seguito dalla sua morte. A conclusione di quelle settimane drammatiche, Biasini, che era allora segretario del Partito, scrisse una bellissima pagina di Diario, che desidero leggervi e dalla quale risultano con chiarezza quelle caratteristiche di serietà e di modestia cui ho accennato. Questo è il testo di quella pagina di diario: "Dunque La Malfa non è più tra noi: solo in un momento così difficile provo uno smarrimento che si fa angoscia. Nessuno può credere a quanto casuale sia stata la mia carriera di politico. Nel 1946 riluttai ad entrare nelle liste del PRI: alla fine fui inserito come indipendente ed eletto in Consiglio Comunale: 30 anni! Dal 1946 al 1975! Casuale e di necessità la mia nomina a segretario provinciale e regionale. Casuale il mio ingresso nel triumvirato dopo le dimissioni di O. Reale. Nel 1963 puntai con forza al Parlamento: ma La Malfa mi escluse con l’opzione a favore di Montanti1. Allentai, per quanto possibile, il mio impegno e venni eletto nel 1968, quando ormai la passione politica si attenuava: feci con slancio, e qualche buon risultato, il sottosegretario alla Pubblica Istruzione. Infine venni travolto da impegni che non sollecitavo, che non desideravo, che temevo: Segretario nel 1975; riconfermato nel 1978: trascinato sempre riluttante ad impegni più forti delle mie capacità e soprattutto estranei ormai ai miei desideri. Ed ora la scomparsa di La Malfa dà una drammatica svolta alla mia vita politica. Mi manca la lena, ma sento imperioso il richiamo del dovere e non mi sottrarrò certo ad esso: ma quali saranno gli sbocchi di questa terribile responsabilità? A volte temo di essere travolto: La Malfa ci aveva esonerato dal pensare e dall’assumere posizioni pronte; ora tutto va pensato ed analizzato. Non mi fido di quelli che mi stanno attorno, come Ugo La Malfa non si fidava di nessuno: ma Egli aveva una ferma, illimitata, fiducia in se stesso, e questo gli dava forza e sicurezza, aveva una straordinaria fantasia, una sbalorditiva capacità di lavoro. Tutto questo oggi mi manca e i compiti si faranno ogni giorno più pesanti. Come si concluderà questa vicenda? Mi domando a volte quali tempi mi stiano a fronte, e mi smarrisco". C’erano a Roma, nel giorno dei funerali di mio padre, una banda musicale proveniente dalla Romagna e le bandiere delle sezioni della Romagna, così come oggi. E c’era la stessa partecipazione commossa. Ma diversamente da allora, quando la vita politica italiana era tutta segnata da antiche bandiere che rappresentavano tradizioni politiche, diverse, spesso opposte, ma che tutte partecipavano alla vita delle istituzioni democratiche che aveva il suo centro nel Parlamento, oggi le nostre bandiere, nate quando nacque l’Italia, nel secolo XIX, sono le sole bandiere che rappresentano una tradizione politica. Il resto è fragile e posticcio. Amici repubblicani, io sento che sta manifestandosi nel nostro Paese una crisi. Non mi riferisco soltanto alla grave crisi economica in cui l’Italia si dibatte e a cui non vediamo apprestare da parte del Governo una risposta adeguata. Penso a una vasta crisi politica ed istituzionale. Sta per chiudersi, in un modo o nell’altro, il ciclo apertosi nel 1993-94 quando entrò in crisi l’assetto che aveva caratterizzato la Repubblica nel corso del secondo dopoguerra. Due uomini hanno occupato la scena in questo periodo, avvicendandosi al Governo, Romano Prodi e Silvio Berlusconi, non alla guida di forze politiche, ma di confusi schieramenti troppo spesso portatori di istanze e di posizioni contraddittorie. Non è stato costruito, in questo periodo, un assetto istituzionale capace di affrontare i problemi del Paese. È stato indebolito il Parlamento, ma nulla è stato messo al suo posto. Se uscisse di scena Berlusconi, che cosa accadrebbe, ancor prima che sul piano politico, sul piano istituzionale? Questa analisi ci conduce a individuare per il partito Repubblicano, il partito delle istituzioni, un compito da assolvere. Voglio dirlo qui oggi davanti alle spoglie di Oddo Biasini che fu il leader del nostro partito in anni non così lontani. Noi dobbiamo recuperare una posizione autonoma nella vita politica italiana per costituire un punto di riferimento per un’opinione pubblica che potrebbe presto rischiare di smarrirsi in una crisi senza precedenti. Dobbiamo farlo al più presto, senza paura e senza esitazioni. Non dobbiamo temere l’esiguità presente delle nostre forze. Sono certo che, se sapremo scegliere la posizione politica dalla quale parlare all’Italia, la forza ci verrà conferita da quanti – e non saranno pochi – coglieranno questa nostra posizione, la condivideranno, la apprezzeranno e la rafforzeranno con la loro adesione ed il loro impegno. È un compito al quale – ne sono sicuro – il PRI non si sottrarrà. Cara Giannina, ieri ti ho chiesto se Oddo, che era sempre stato un grande lettore, avesse mantenuto questa abitudine anche in questi mesi. Mi hai risposto che leggeva meno, ma che c’era un libro di poesie che teneva spesso accanto a sé. Ti ho pregato di farmelo avere e ieri notte l’ho letto. È un libro del grande Biagio Marin, scritto nel suo dialetto con accanto la versione italiana. Capisco che Oddo amasse Biagio Marin: la sua voce proviene da Grado, anch’essa una città dell’Adriatico come sono Cesena e Cesenatico, cui Oddo era così legato. Ho trovato i segni delle pagine sulle quali Oddo si era soffermato, poesie che parlano della vecchiaia e, spesso, della morte. Voglio leggere a voi tutti una di quelle che Oddo aveva contrassegnato: "Anche il gabbiano muore/in mezzo al dosso/ sul sabbione rosso/ quando il mare scorre alla foce. Anche lui solo/ sul dosso immenso/che il mare bacia schioccando/ ed in alto splende una nuvola. Non apre l’ala/ non vola più/ nel cielo blu/ il sole cala." Ma ora vorrei leggervi qualche verso di un’altra poesia di Marin che, invece, non porta i segni che Oddo vi si fosse soffermato, ma che gli si addice profondamente. Eccola: "Non mi dispiace d’esser nato/di aver goduto il sole d’oro/il canto delle stelle lento in coro,/che in notti chiare mi faceva beato: d’aver mangiato il pane appena cotto/ croccante, coi fichi tutti un miele,/ guardando in alto il cielo/con un navigare di nuvoli, devoto. Non mi dispiace/D’esser arrivato al ponente/Dopo tanto sole preso sulle spiagge/e tanto mare ridente". Noi sappiamo quanto Oddo amasse la vita ed il mare ed è così che desideriamo ricordarlo oggi nel momento dell’estremo saluto. |