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  freddo La minaccia del Califfato a sud di Roma Il presidente del
  Consiglio, dopo aver raccolto le informazioni
  necessarie sulla Libia, ha chiesto di evitare reazioni isteriche ritenendo
  l’avanzata dell’Isis grave, ma non sufficiente per rappresentare una minaccia
  al nostro Paese. Evidentemente alcuni suoi ministri nella giornata di
  domenica, si erano lasciati andare a parole in libertà, non valutando
  adeguatamente la situazione che pure preoccupa. Da una parte, siamo
  sottoposti ad una immigrazione sulle nostre coste,
  alla quale nemmeno con l’aiuto della comunità europea riusciamo a far fronte,
  dall’altra, a poche miglia marine da noi, assistiamo all’avanzata dello Stato
  islamico. Tutti i nostri interessi in Libia sono prossimi ad essere
  compromessi e hanno già raggiunto il 70 per cento delle imprese italiane. Infatti le stesse hanno lasciato il Paese negli ultimi
  anni, visto che il governo libico riconosciuto dall’occidente si è insediato
  a Tobruk come Rommel prima della totale disfatta. È vero che nessuno in Libia
  dispone di arsenali capaci di colpire l’Italia, ma all’Isis bastano solo un
  paio di adepti disposti a sacrificarsi per causare danni irrimediabili.
  Nessuno può escludere che siano già in Italia e non c’è bisogno che siano
  immigrati arabi giunti da noi, perché possono benissimo essere naturalizzati
  cittadini italiani, come il giovane olandese responsabile delle morti di
  Copenaghen, oppure possono persino essere italiani convertiti. Se il problema
  è la nostra sicurezza, in questo momento occorre che il ministero degli
  Interni sia il più vigile possibile e già questo non sarà un compito facile.
  Andare a fare la guerra in Libia contro il califfato, come pure aveva detto il ministro Gentiloni è tutta un’altra
  questione. In ogni caso non potrebbe essere l’Italia da sola. Più che l’Onu,
  paralizzato dalla crisi in Ucraina, (un altro problema), conterà la Nato. Gli
  egiziani, senza bisogno di aspettare l’Onu e da soli, hanno subito fatto
  alzare i loro aerei appena assistito all’esecuzione dei cristiani coopti. Lo
  stesso hanno fatto i giordani in Iraq, dopo aver visto bruciare vivo un loro
  pilota. Se l’Isis riuscisse a prendersi l’intera Libia o una parte più ampia
  di quella in cui ora si ritrova, i problemi non sarebbero più rinviabili. Ma
  anche la sola presenza dell’Isis a Sirte non può essere sottovalutata come si
  chiede di fare. Il governo italiano farebbe meglio a porre all’attenzione dei
  propri alleati gli sviluppi avvenuti in Libia dalla caduta del regime di
  Gheddafi ad oggi. L’Alleanza atlantica è intervenuta nel 2011 prima ancora
  che le truppe del colonnello entrassero a Bengasi. Si cominci a valutare il
  livello di espansione del califfato. Perché se si espande, bisognerà
  fermarlo. Capiamo perfettamente le ragioni della prudenza del presidente del
  Consiglio e siamo gli ultimi a pensare che l’Italia debba prendere una
  qualche iniziativa militare autonoma, fra l’altro non sarebbe in grado, come
  probabilmente non lo sarebbe nemmeno l’intera Unione europea. Crediamo solo
  che ritrovarsi la minaccia del califfato a sud di Roma, come si dice, non
  consente sonni tranquilli, soprattutto se non ci preoccupiamo di schiacciarlo
  prima che possa risalire ancora. Roma, 17 febbraio 2015 |   |