Randolfo Pacciardi e Eugenio Chiesa/L’intervento del segretario del Pri a Carrara

Lavoriamo per la bellezza dell’idea e il suo trionfo

"Repubblicanesimo e Massoneria. Chiesa e Pacciardi", Convegno a Carrara del 27 febbraio 2010. Il messaggio di Francesco Nucara.

di Francesco Nucara

Lo scritto che ho inteso produrre nell’aderire alla commemorazione dei due grandi repubblicani del novecento, Chiesa e Pacciardi, non ha alcuna pretesa di ricostruzione storica, bensì la volontà di descrivere le loro figure di mazziniani, repubblicani antifascisti e ambedue massoni.

Bisogna dire che il rapporto tra Massoneria e mazziniani, prima, e repubblicani, dopo, si perde nell’età risorgimentale e forse ancora prima, quando nel 1789 un gruppo di repubblicani (Mazzini ovviamente non era ancora nato) vengono trucidati sulla piazza di un paesino calabrese, Badolato, perché volevano "piantare" sulla piazza principale l’albero della libertà.

Non si trovano documenti che attestino l’adesione di Mazzini alla Massoneria ("Giuseppe Mazzini, uomo universale", 1972). L’apice del rapporto tra Mazzini e Massoneria lo ritroviamo in una lettera "Ai fratelli di Sicilia" del 1863 e in un documento-lettera "A Giuseppe Moriondo a Torino", luglio 1868. Mazzini sosteneva: "La Massoneria fu in passato una nobile e potente istituzione. Il suo primo concetto fu concetto d’emancipazione, di libertà, d’eguaglianza, fra gli uomini, fratelli tutti sotto la legge di Dio"; ma il Maestro, nella sua valutazione, non risparmia certo critiche arrivando ad affermare: "... Abbandonato il primitivo concetto, diventò società senza scopo sociale; accettò nel proprio seno uomini di dottrine contraddittorie; fece suoi capi principi e satelliti di principi; si appagò di vuote forme, senza vera vita, di simboli che non rappresentavano più un’idea … e la Massoneria scadde dalla mente degli uomini, come scadde il papato, come scadde la Monarchia …".

Il senso critico di Mazzini non inficiò peraltro l’adesione alla Massoneria di molti ferventi mazziniani, anche perché nel Risorgimento mazziniani e massoni avevano un’unica unione di intenti: l’Unità d’Italia.

D’altra parte è vero che in molte regioni d’Italia il repubblicanesimo s’intreccia fortemente con la Massoneria.

Mi si consenta un ricordo personale. A Napoli un giovane studente di medicina, Francesco Antonio Leuzzi, si appassionò alle lezioni di Giovanni Bovio che insegnava giurisprudenza. Egli seguiva con grande interesse quelle lezioni che nulla avevano a che vedere con la sua formazione professionale. Seguì Bovio con tale entusiasmo e convinzione che divenne massone anch’egli e si adoperò per fondare, all’inizio del ‘900, il Partito Repubblicano in Calabria. E’ superfluo dire che le sezioni repubblicane erano intitolate a massoni e i congressi si svolgevano in date simboliche come il 1° congresso del PRI calabrese, che doveva svolgersi nell’anniversario del ferimento di Garibaldi in Aspromonte. E massone divenne il liceale Gaetano Sardiello, poi deputato repubblicano alla Costituente. Francesco Antonio Leuzzi, con due cattedre universitarie, Bologna e Napoli, fu tra i 12 professori che per non giurare fedeltà al fascismo dovettero abbandonare l’insegnamento.

Dunque massoni erano i personaggi che oggi ricordiamo insieme: voi fratelli massoni e noi repubblicani, perché in essi è racchiusa la storia che ha attraversato i campi delle vicende risorgimentali.

All’apparenza, ma solo all’apparenza, i caratteri dei due personaggi Chiesa e Pacciardi sembrerebbero agli antipodi.

Il ragioniere Eugenio Chiesa che, nato a Milano nel 1863, approda a Carrara e nel 1904 diviene deputato della circoscrizione di Massa e Carrara, e l’avvocato Pacciardi di Grosseto, che falsifica i documenti per partecipare alla guerra del 1915-18 come volontario, sembrano essere distanti anni luce: metodico ragionatore sui numeri il primo, quanto focoso e impetuoso il secondo.

Eugenio Chiesa visse da parlamentare e da segretario repubblicano la nascita e lo svilupparsi del fenomeno fascista, mentre Pacciardi visse da giovane antifascista cresciuto politicamente e professionalmente sotto la guida di un altro grande mazziniano: Giovanni Conti.

I nostri due eroi della democrazia hanno avuto, per i periodi bellici che li hanno visti coinvolti, più riconoscimenti dagli Stati stranieri che dall’Italia.

E in questo Paese dell’oblio nessuno ricorda più che Eugenio Chiesa fu, tra l’altro, il fondatore dell’Aeronautica Italiana, quando da Commissario di Governo (1917) diede avvio e impulso allo sviluppo dell’Aviazione. Egli partecipò a quel Governo a titolo personale e non divenne ministro per non prestare giuramento "nelle mani del re".

Pacciardi, figlio di un modesto ferroviere, nasce il 10 gennaio 1899 e pone termine alla sua vita il 24 aprile 1991.

L’antifascismo militante dei due era il vero prodotto dell’insieme. Eugenio Chiesa, dopo il delitto Matteotti, nel suo intervento alla Camera ebbe a dire: "Risponda il Capo del Governo! Risponda! Tace! E’ complice!". Meno di dieci parole per scatenare le ire del Duce e la sua volontà di farla finita con un irriducibile avversario.

Il primo avvertimento fu la distruzione della villa di Chiesa a Massa. L’epilogo il suo esilio prima in Svizzera e poi in Francia.

Chiesa si interessava anche, e molto, della classe operaia e in particolare dei suoi "Cavatori di marmo", e la sua apparente mitezza non gli impediva di esercitarsi in duelli con i militari da lui accusati di corruzione o con fascisti ai quali era più che inviso. Nell’ultimo di questi duelli non gli furono fatali le ferite riportate, bensì l’aggravarsi di problemi cardiaci che lo assillavano da qualche tempo. E questi problemi porranno fine alla sua vita nel suo esilio di combattente e organizzatore all’estero della "Concentrazione Antifascista".

Sorte simile tocca a Randolfo Pacciardi quando, a piazza Venezia, sotto il balcone dal quale parlava Mussolini con un gruppo di reduci grida: "Viva l’Italia libera!". Di lì a poco anche Pacciardi lasciava l’Italia per il suo esilio svizzero e poi in Francia.

Lo ritroviamo nella guerra di Spagna contro i franchisti al comando del Battaglione Garibaldi, le cui gesta sono descritte nell’omonimo libro di Pacciardi di cui gelosamente custodisco copia. L’avventura spagnola, malgrado i successi militari del leone di Guadalajara, finisce abbastanza presto poiché Pacciardi si rifiuta di sparare sugli anarchici, anch’essi, ovviamente, antifranchisti, ma proprio perché anarchici poco inclini a sottostare agli ordini dei commissari politici comunisti. L’onestà cristallina di Pacciardi ebbe la meglio anche sulle infamie che i comunisti tentarono di gettare su una figura che onorava e avrebbe onorato l’Italia.

E non bisogna dimenticare i tanti repubblicani che avevano aderito al fascismo ed erano diventati feroci avversari dei repubblicani. Uno per tutti Italo Balbo, contro il quale Pacciardi combatté e vinse in tribunale.

Non sempre la storia repubblicana è stata limpida, e se noi quella storia vogliamo continuare, è bene stare attenti ai voltagabbana.

La vita era particolarmente difficile per i due esuli poiché il PRI, a differenza di altri partiti, PSI e PCI (Unione Sovietica) Popolari poi DC, (Vaticano), fu l’unico partito a non poter contare su appoggi di natura internazionale. Questo permise ai repubblicani di superare meglio la crisi esplosa negli "anni del consenso" quando, nel ‘39, Hitler e Stalin trovarono un’intesa.

Grazie ad una completa indipendenza da ogni condizionamento di carattere internazionale, i repubblicani poterono continuare ad essere i primi a raccogliere l’appello lanciato da Carlo Rosselli nell’estate del 1936: "Oggi in Ispagna, domani in Italia!".

Un tratto comune legava tra loro i due segretari repubblicani: non su-bire passivamente gli eventi, ergersi da protagonisti con le loro piccole forze. Ed è di un’attualità sconcertante quello che scrisse Chiesa ai repubblicani del Trentino nel 1926:

" ... Certo è opera quella che si richiede dal Partito lunga, paziente, senza glorie, né lusinghe, né premio; nella sua perseveranza, nella abnegazione di tutti sta la bellezza dell’idea e il suo trionfo. A questo lavoriamo.

Diamo aiuto al giornale che sta come l’asta di una bandiera, anche se sguernita oggi del suo drappo, pronta per svolgersi domani. Diamo aiuto alla direzione centrale del Partito perché essa si senta sorretta e confortata nella sua opera diuturna.

Diamo alle sezioni e alle federazioni i nostri tributi di devozione e di fraterno legame. Nessuno manchi al proprio dovere, a quello più umile come al più coraggioso che il Partito richieda e sia motto mazziniano vivo e profondamente sentito: ‘Uno per tutti e tutti per uno’ ...".

E per ultimo dal discorso di Pacciardi al Campidoglio il 16 giugno 1946 per l’inaugurazione della Repubblica:

"…Ebbene Garibaldi e Mazzini hanno dato all’Italia il gusto eterno della gloria. Ma non più della gloria mendace, delle guerre, delle conquiste, della potenza, degli imperi. La gloria bensì delle libere istituzioni civili, delle competizioni nell’arte e nella scienza, nei traffici e nel lavoro, nelle missioni e iniziative. Salutiamo in questa fede la lacera bandiera che risorge dai nostri spasimi e dai nostri lutti per portare nel mondo la gloria civile dell’Italia repubblicana.…"

Questo il breve ritratto di due massoni segretari, in epoche diverse, del Partito Repubblicano Italiano che, con le storie delle loro vite, amarono tutti noi e il nostro mal ridotto Paese.